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Il Teatro Quirino apre la stagione 2023-2024 con Alessandro Haber “La coscienza di Zeno”

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Alessandro Haber in "La coscienza di Zeno" al Teatro Quirino Vittorio Gassman @simonediluca
Fino al 29 ottobre sarà in scena la pièce “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo alla regia Paolo Valerio che ne ha curato anche l’adattamento insieme a Monica Codena. Prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e da Goldenart Production lo spettacolo fa parte del progetto di valorizzazione degli autori legati a Trieste del novecento italiano
Alessandro Haber@simonediluca

Il 2023 è il centenario della pubblicazione dell’opera “La coscienza di Zeno” da cui nasce il desiderio di far conoscere meglio l’autore in tournée nei principali teatri italiani partendo proprio da Trieste la città natale di Italo Svevo.

Una scenografia semplice proiettata sul fondo del palcoscenico, al centro un enorme cerchio come un cameo dentro il quale si possono vedere ingranditi i personaggi e le azioni in scena, sulla sinistra una poltrona con le rotelle, grigia, su cui è seduto Alessandro Haber in un abito anch’esso grigio. Non ci saranno durante tutta la rappresentazione colori sgargianti, tranne improvvisi rossi e blu proiettati sulla scenografia. Le tonalità rappresentano la famiglia borghese all’interno della quale si sviluppano senza colore le debolezze umane in cui le uniche frivolezze sono rappresentate, in scena, da deliziosi balli a ritmo di valzer.

Alessandro Haber in scena al Teatro Quirino@simonediluca

Haber è Zeno ed è anche narratore della vita di Zeno giovane interpretato da Alberto Onofrietti i due, in scena, dialogano in un duetto sincrono. La psicanalisi il dott. S che pubblica la storia del paziente, la dipendenza dal fumo dimostrazione della debolezza di Zeno sono il debutto del libro. Lo sviluppo nelle parti della trama che il regista ha voluto evidenziare sono la punizione che il padre ha dato a Zeno in punto di morte “lo schiaffo” (che sceglie di non mostrare). Si intuisce, si conosce, è disarmante, senza una precisa volontà, ed ecco una volta morto il padre Zeno urla a bassa voce“non potevo più provargli la mia innocenza”. Il padre un personaggio dominante, ebreo, colto “che leggeva un libro al giorno”.

Un uomo colto che sottolinea l’impotenza di Zeno davanti alla fine e la rottura di un rapporto fortissimo con un gesto violento, così come è decisivo il rapporto freudiano e viscerale con la madre. Le due figure genitoriali conducono tutta l’esistenza del protagonista che si sente non abbastanza amato o desiderato. “Se avessi dei figliuoli cercherei di farmi amare di meno per toglier loro la sofferenza della mia morte” dichiara durante la pièce.
Alessandro Haber@simonediluca

 

Zeno che sceglie sua moglie quasi in un gioco ad “esclusione” tra le figlie di Giovanni Malfenti padre di quattro ragazze da marito coi nomi che cominciavano per tutte per “A.”

Così le iniziali ricamate sul corredo sono le stesse, in una scelta voluta di depersonalizzazione delle donne. Zeno prima ha un coup de foudre per Ada “lei era la donna di cui avevo bisogno per portarmi alla salute mentale e fisica di cui avevo bisogno” ma viene rifiutato. Ripiega dopo altri rifiuti su Augusta affetta da strabismo quindi la più “brutta” tra le sorelle ma colei che gli darà la felicità rappresentando la figura materna di cui Zeno ha bisogno. S’innamora di Carla che diverrà amante, tormentato sempre però da questa malattia mentale, da questa coscienza sempre presente e voce suggeritrice costante nella sua vita.

Sono buono o cattivo? Mi vedevo bambino che chiedevo a mia madre “mamma sono buono o cattivo”? Meritavo lo schiaffo di mio padre?

Riflettendo sul tema della psicanalisi e arrivando alla conclusione del suo malessere interiore indissolubile nonostante tutto Zeno in tutta questa grande famiglia si rivelerà il migliore di tutti.

“La dimostrazione che non ho avuto quella malattia (mentale) è che non ne sono guarito”.

L’interpretazione di Alessandro Haber è impeccabile, il tormento, il vizio del fumo, la lussuria, è Zeno sul palco del Teatro Quirino nelle quasi due ore senza intervallo in cui la vita del protagonista scorre tutta d’un fiato per arrivare alla conclusione: “Quel dolore che sentivo era semplicemente vita”.