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Per la settimana della scienza, abbiamo esplorato il “Laboratorio Analisi di Superfici “

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Jheronimus Bosh
Che cosa avesse inteso comunicare Leonardo da Vinci quando dipinse la Gioconda, è compito dei critici d’arte definirlo.

Ed è proprio il susseguirsi di significati più o meno elaborati e fantasiosi che ne ha fatto il quadro più famoso del mondo. Sono già circa cinquecento anni che ne possiamo ammirarne la bellezza, e questo grazie alla tutela e alle tecniche di conservazione.

Ma quanto potrà durare nel futuro? Molto dipende dal tipo di materiali usati per la sua realizzazione, dalla loro composizione e resistenza al deterioramento nel tempo.

Ovviamente è un discorso che riguarda tutte le opere di tutti gli artisti del mondo.

Per questo siamo andati a visitare il Laboratorio di Analisi di Superfici dell’Università di Roma Tre.

Questo laboratorio fa parte della rete di laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) ed è nell’infrastruttura nazionale CHNet, l’infrastruttura dell’INFN che si occupa di beni culturali. Il Laboratorio di Analisi di Superfici è un’eccellenza italiana per l’analisi chimica di pigmenti, coloranti, resine e leganti usati dagli artisti ai loro tempi. Le informazioni ottenute in questo laboratorio sono di grande aiuto per storici e restauratori che le sfruttano nella maniera più idonea in fase di restauro.
Il laboratorio collabora con i maggiori enti nazionali per la tutela e la salvaguardia delle opere, primo fra tutti il Ministero dei Beni Culturali, tramite l’Istituto Centrale del Restauro; inoltre, è uno dei pochi laboratori a far parte della rete di eccellenza europea per la ricerca sui Beni Culturali denominata E-RIHS (European Research Infrastructure for Heritage Science), riconosciuta dalla Comunità Europea.

Siamo stati accolti dal Prof. Luca Tortora, docente di chimica, e dalla Dr.ssa Paola Biocca, che con eccellente perizia divulgativa e la passione che traspare dalle loro parole, ci hanno spiegato il lavoro svolto nel laboratorio.

Gli strumenti e i macchinari usati per svelare i misteri della chimica e della fisica delle superfici, attraverso il bombardamento ionico e la spettrometria SIMS.

Tra tutti gli strumenti di analisi spicca lo spettrometro di massa a ioni secondari. Il macchinario attualmente unico in Italia, del costo di 1.500.000,00 euro, finanziato dalla Fondazione Roma.

Spettrometro di massa a ioni secondari
Oggetto della spiegazione è stato un frammento di un’opera del pittore olandese Jheronymus Bosch, il “Trittico di Santa Liberata”.

Questo campione è attualmente in studio all’interno di una collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Università di Roma Tre e le Gallerie dell’Accademia di Venezia. Paola ci spiega che questo tipo di frammenti viene solitamente prelevato in fase di restauro in punti periferici dell’opera, oppure a ridosso delle parti rovinate, per ridurre al minimo gli interventi sull’opera.
I ragazzi ci raccontano che l’approccio allo studio di questo tipo di campioni avviene attraverso passaggi graduali.

Per prima cosa si studia il campione allo stereomicroscopio.

Qui anche noi abbiamo avuto modo di osservare quella che loro chiamano “sezione stratigrafica”, ovvero un frammento di dipinto posizionato lateralmente, in modo da poter studiare tutti gli strati presenti.

Le superfici dei campioni vengono poi riprodotte in 3D al computer attraverso il profilometro. Uno strumento in grado di scansionare le superfici ed ottenere quindi un’immagine digitale con risoluzione sub-nanometrica.

A questo punto, una volta studiate le caratteristiche morfologiche si passa a quelle chimiche.

Il campione viene quindi bombardato con ioni per ottenere informazioni sulla composizione dello strato pittorico.

Ci fanno notare, che quello che potrebbe sembrare un metodo di analisi invasivo e distruttivo (bombardare un pezzo di dipinto prezioso con ioni….eresia!!!!), è invece il migliore metodo per avere informazioni e,contemporaneamente, preservare gli strati pittorici. I proiettili utilizzati infatti per bombardare rimuovono solo il primo nanometro (un miliardesimo di metro) di superficie.

Si farebbero più danni toccandolo con un’unghia che bombardandolo con pochi ioni.

La tecnica di studio è molto sensibile e spesso si scopre che i primi strati di un campione sono contaminati da plastiche usate per il trasporto. Ma anche dalle sostanze secrete dalla pelle delle mani degli operatori.

Alla fine della nostra visita abbiamo così capito che il frammento dell’opera di Bosch è un susseguirsi di sette strati di materiali differenti usati dal pittore, creando, insieme, la “magia della pittura”.

Il Laboratorio di Analisi di Superficie dell’Università Roma Tre, ed il lavoro appassionato e la dedizione dei suoi componenti fanno ben sperare sia per la conservazione futura delle opere, sia per l’evoluzione della ricerca in molti campi medici.

Settimana della scienza

Valter Laurenti