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L’importanza di chiamarsi Ernesto: una “commedia frivola per gente seria” alla Sala Umberto

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"L'importanza di chiamarsi Ernesto"
Dal 19 al 24 febbraio il Teatro Sala Umberto ospita la commedia di Oscar Wilde “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, per la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia.

La commedia, in tre atti, prende spunto da un gioco di parole presente nella lingua inglese. La pronuncia del nome Ernest, infatti, è simile a quella dell’aggettivo earnest (onesto, affidabile) ma, come si vedrà, nessuno dei due protagonisti è né onesto né Ernest. Questo l’escamotage utilizzato dall’autore per criticare, con ironia, la falsità della società inglese del tempo, incentrata sull’apparenza e nella quale contava più un nome che la persona stessa.

Attuale, nonostante risalga alla fine del 1800.

La storia è ambientata nei salotti della perbenista e ipocrita nobiltà inglese. Protagonisti sono Jack Worthing e Algernon Moncrieff. Il primo, scopertosi poi un trovatello, vive in campagna insieme alla diciottenne Cecily, di cui è tutore; il secondo è un giovane aristocratico che vive in città, nell’ozio e nell’agiatezza. Entrambi trovano degli espedienti per allontanarsi dalle loro realtà in cui devono tenere un comportamento moralmente ineccepibile.

Entrambi dichiarano di chiamarsi Ernest per conquistare le donne di cui sono innamorati.

Jack è innamorato della cugina di Algernon, Gwendolen, mentre Algernon di Cecily.
Intrighi, segreti e malintesi guidano la commedia, in cui l’amore delle giovani donne dipende completamente da questo nome. Nessuno dei due uomini, però, è veramente “earnest” né “Ernest” ed i loro sentimenti rischiano, pertanto, di non essere corrisposti.

Tuttavia, come in ogni commedia che si rispetti, nonostante gli imprevisti e le interferenze di alcuni personaggi, come la rigida madre di Gwendolen, Lady Bracknell, vi è il lieto fine, che riporterà l’armonia tra i personaggi.

L’importanza di chiamarsi Ernesto è una commedia definita di “una comicità perfetta” e la coloratissima versione pop anni ’60, proposta da Bruni e Frongia, non snatura ma, al contrario, esalta, con leggerezza e frizzantezza, la comicità e la brillante ironia del testo.

Un testo ricco di dialoghi surreali e provocatori che, con un sottile e raffinato sarcasmo, sottotesti e giochi di parole, smonta ad uno ad uno i luoghi comuni su cui si fonda la società borghese e le sue incongruenze (“Quel che Dio ha diviso, l’uomo non cerchi di riunire”; “L’antico e tradizionale rispetto dei vecchi per i giovani è morto e sepolto”).
Contesta il perbenismo aristocratico, la rigida divisione in classi ed il modello di educazione inglese (“In Inghilterra comunque, grazie a Dio, l’educazione non produce il minimo effetto. Non fosse così ne deriverebbero gravi inconvenienti per le classi superiori”), ironizza sul concetto di famiglia (“Nella vita coniugale due è il deserto e tre il numero perfetto”).

L’intento dell’autore è perseguito, in questa versione, anche attraverso una recitazione che tende ad enfatizzare il carattere dei personaggi, la gestualità, i movimenti e le espressioni caricaturali. Appariscenti sono i costumi indossati dai vari protagonisti e caratteristica e quasi ridicola è, ad esempio, la camminata di lady Bracknell ogni volta che entra in scena o i divertenti e “rumorosi” ingressi del maggiordomo.

Tre atti che scorrono leggeri, in cui l’attenzione per ogni dettaglio – dai suoni, agli abiti, alle movenze – creano una rappresentazione gradevole e divertente, a cui vale davvero la pena assistere.

Ad interpretare la versione proposta al teatro Sala Umberto vi è una compagnia di attori di grande talento, Ida Marinelli nei panni di Lady Bracknell, Giuseppe Lanino in quelli di John Worthing e Riccardo Buffonini in quelli di Algernon Moncrieff; Elena Russo è Gwendolen e Camilla Violante Scheller la giovanissima Cecily, Luca Toracca è il reverendo Chasuble, Cinzia Spanò è la governante Miss Prism e Nicola Stravalaci il maggiordomo e il cameriere.
A sorvegliare la sua opera, sullo sfondo c’è l’immagine di Oscar Wilde. Oscar Wilde che la definì “una commedia frivola per gente seria”. In realtà, di frivolo c’è ben poco.

Photo: Laila Pozzo

Sensuale e rivoluzionaria Valentina Lodovini alla sala Umberto.