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Maria Gnarra, una scienziata a New York

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Dopo aver conseguito con Lode la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma, Maria si e’ trasferita a Boston per grazie ad una borsa di studio per intraprendere un PhD program presso l’Harvard Medical School, ed in seguito presso la Columbia University a NY

Grazie al Skin Pact Excellence in Educational Award, Maria ha avviato un corso presso l’Università Cattolica per trasmettere le conoscenze di biologia cellulare e molecolare acquisite durante la sua esperienza all’estero e avvicinare giovani medici alla ricerca in campo dermatologico.

Durante il percorso di dottorato, Maria ha sviluppato un grande interesse verso la bioingegneria e 3D bioprinting; e grazie alla prestigiosa “Ermenegildo Zegna Founder’s Scholarship” e’ tornata alla Columbia University per apprendere queste tecniche innovative al fine di sviluppare la cute in 3D.

L’abbiamo incontrata con i mezzi a nostra disposizione, viste le distanze, tramite Skype

Dottoressa Gnarra cosa l’ha portata ad intraprendere un progetto di ricerca che ha come obiettivo quello di cercare di riprodurre strutture di epidermide in 3D partendo dalle cellule?

Durante il percorso di dottorato in dermatologia oncologica ho sviluppato un forte interesse verso l’ingegneria tissutale e il 3D bio-printing. Tra le innumerevoli possibili applicazioni, questi consentono di realizzare modelli funzionali di organi, come la cute, in 3D. Questo rappresenta un importante passo avanti rispetto alle classiche culture cellulari. Inoltre, grazie a tecniche di Gene Editing, si possono correggere le eventuali mutazioni responsabili di malattie genetiche invalidanti, come l’epidermolisi bullosa distrofica.

Quali sono i vantaggi di poter trapiantare pelle sana originata dalle stesse cellule del paziente?

Sviluppare cute in 3D consente inoltre di sopperire alla carenza di organi per il trapianto, tra i quali anche la pelle. Ed allo stesso tempo di evitare reazioni di rigetto, appartenendo ai pazienti stessi

Ci sono vantaggi anche nella sintesi di nuovi farmaci mirati, soprattutto senza dover aspettare i risultati di test lunghissimi ( in termini di anni) e molto costosi?

I costrutti cutanei in 3D permetteranno, nel tempo, di bypassare la sperimentazione in vivo. L’utilizzo di modelli animali aldilà delle importanti implicazioni etiche, poco rispecchiano la complessità della cute umana. Ciò è alla base del fallimento di molti studi clinici nel passaggio dalla sperimentazione pre-clinica a studi clinici sui pazienti. Questo porta ad aumentare drasticamente il tempo nel quale i farmaci divengono disponibili per i pazienti

Brevemente può spiegarci in cosa consiste il progetto “Human on a chip”?

Il progetto “Human on a Chip” è un progetto ambizioso che aspira a collegare i diversi “organs on a chip”. Come il fegato, il polmone, il cuore etc. tra di loro.

Questo viene realizzato attraverso un complesso sistema di microtubuli, che permettono il passaggio di microfluidi contenenti i necessari apporti nutritivi e allo stesso tempo di rimuovere i prodotti di scarto.

Il fine è quello di studiare il passaggio dei nuovi farmaci attraverso i diversi organi del corpo a seconda della modalità di assunzione (per via orale, topico, etc.). Ma anche i loro possibili effetti collaterali sui singoli organi stessi

Le manca l’Italia e penserà di tornarci magari portando la sua esperienza anche nei nostri laboratori?

Assolutamente si. L’intenzione è quella di portare avanti l’”Educational pilot project in translational research apportando questa volta tecniche innovative come quelle del 3D bioprinting.

 

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Intervista a Paolo Fratter Sky TG24

 

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