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Coscienza, esiste un modo per risvegliarla?

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Prof. Martin Monti
Come si fa a diagnosticare il livello di perdita di coscienza in chi ha avuto gravi lesioni cerebrali? Cosa significa coma, stato vegetativo acuto o cronico, stato di minima coscienza?

È questo l’obiettivo degli studi del Prof. Martin Monti, nel suo laboratorio di ricerca all’Ucla – Università della California di Los Angeles. Laurea alla Bocconi e PhD a Princeton, il brillante neuroscienziato italiano non si definisce un cervello in fuga, visto che si trova all’estero per libera scelta. Definito lo scienziato che riaccende i cervelli, con pubblicazioni che hanno fatto il giro del mondo. Fu invitato nel 2013 in Israele a visitare l’ex premier Ariel Sharon, che si trovava in una condizione di disordine della coscienza.

Monti ha presentato i suoi studi in una conferenza tenuta dal BrainForum al Teatro Piccolo Eliseo di Roma, illustrando le differenze dei vari stati di perdita totale o parziale della coscienza in seguito a gravi lesioni cerebrali.

Sostanzialmente la coscienza è composta da due elementi chiave, uno è la veglia, intesa come lo stato in cui si hanno gli occhi aperti e si è svegli, e l’altro è la presenza della consapevolezza. Se si è svegli e consapevoli, si è perfettamente coscienti.

L’esatto opposto della veglia e della consapevolezza è lo stato di coma, che si manifesta con gli occhi chiusi e nessun segno di consapevolezza. Un paziente in coma non risponde ai vari tipi di stimolazioni, tatto, voce, fino alle stimolazioni dolorose. Una situazione simile è quella in cui un paziente è sotto anestesia generale.

Nella situazione di sonno, passando da un sonno profondo ad uno più leggero, la veglia e la consapevolezza ritornano congiuntamente. Si può dire che la veglia e la consapevolezza sono sempre unite, o ci sono, alte, medie, o sono assenti. Con delle eccezioni. La prima è costituita dai sogni. Nei sogni manca la veglia ma è presente la consapevolezza, anche se diversa da quella dello stato di veglia, ma con lo stesso senso del vivere un’esperienza.

L’esatto opposto di questa situazione è il cosiddetto stato vegetativo, cioè la condizione in cui un paziente è sveglio, ma senza alcun segno di consapevolezza.

Ed è particolarmente difficile, per chi è abituato a vedere persone sveglie e coscienti, definire il livello di consapevolezza in chi si trova invece in uno stato di veglia incosciente, e diagnosticare quindi lo stato vegetativo. Esiste poi lo stato in cui taluni pazienti, magari dopo anni di stimolazioni, riescono ad acquistare una minima consapevolezza, dimostrandolo attraverso risposte a stimolazioni. Questo viene definito stato di minima coscienza. Questi due stati sono quelli in cui spesso si trovano i pazienti la cui con dizione è definita coma permanente.

Lo stato di coma acuto dura non più di tre settimane circa, quindi notizie in cui si legge di un paziente in coma magari da dieci o quindici anni sono palesemente false. Il paziente in questione si trova in uno stato vegetativo o di minima coscienza. E’ difficilissimo, sostiene Martin Monti, definire lo stato di coscienza di un’altra persona, figuriamoci di un paziente che sia appena uscito dal coma. Il nocciolo del problema in questi pazienti è la disconnessione che si è verificata tra le varie parti del loro cervello. Non si tratta di neuroni morti, in effetti un cervello in quello stato consuma più o meno l’energia di uno sano, ma di una vera e propria interruzione dei circuiti che partono dal talamo, il quale si è atrofizzato.

Lo staff di ricerca di Martin Monti ha messo a punto un sistema per cercare di riattivare questa parte del cervello, basato sugli ultrasuoni.

Tramite dei trasduttori che vengono applicati alla parte temporale del cranio, la più sottile, si inviano degli ultrasuoni a bassa frequenza. Bassa perché così si raggiunge una profondità maggiore nel cervello, calcolato che il talamo si trova a circa 7 cm dal cranio. La tecnica consiste nel convogliare gli ultrasuoni in un unico punto, attraverso uno strumento che permette di concentrarli insieme. Dal punto di vista della precisione, dice Martin Monti, siamo al livello della neurochirurgia del 1600.

È necessario fare prove, e, dopo aver constatato la direzione presa dagli ultrasuoni, tramite la risonanza magnetica, estrarre eventualmente il paziente, riposizionare i trasduttori e reinserirlo nella macchina. Ci vorrà un po’ di tempo, ma siamo a buon punto. Questo lavoro in futuro potrà forse servire ai tanti pazienti che, ridotti in coma o in uno stato vegetativo, vengono spesso abbandonati troppo frettolosamente al loro destino.