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Rufus Wainwright al Roma Summer Fest

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Ieri sera anche il pluriacclamato artista newyorkése Rufus Wainwright ha varcato la soglia dell’Auditorium Parco della Musica nel quartiere Flaminio in Roma nella splendida sala di Santa Cecilia

Infatti, per questo appuntamento del Roma Summer Fest, le luci della cavea hanno dovuto spegnersi a cause delle avverse condizioni meteo che hanno tormentato la Capitale nel weekend.

Niente di drammatico, anzi, lo spettacolo di Wainwright ben si è sposato con l’acustica e l’architettura di una delle più grandi e belle sale d’Europa.

Proveniente da una famiglia di musicisti. Il cantautore naturalizzato canadese ha allietato il pubblico romano con la sua inconfondibile e strabiliante voce, portando in scena uno spettacolo elegante e curato nel quale ha ripercorso il suo vasto repertorio musicale.

Sembra che il maltempo sia una costante romana per Rufus Wainwright. Chi ha buona memoria si ricorderà, infatti, che avrebbe dovuto esibirsi all’Auditorium di via Pietro de Coubertin già nel 2014 – anno in cui fece anche la sua nota apparizione a Sanremo in occasione del Festival della canzone nostrana con tanto di scia polemica – ma il suo volo fu cancellato all’ultimo momento per avverse condizioni atmosferiche.

Meteo a parte, si può plasticamente affermare che Rufus Wainwright è delle voci maschili più affascinanti del nostro tempo. Voce che ha portato il “nostro” a collaborare con artisti quali Elton John, David Byrne, Mark Ronson, Joni Mitchell e Burt Bacharach ed a vincere (oltre ad essere nominato ai Grammy) due Juno Awards come Best Alternative Album nel 1999 e nel 2002.

Nel 2008 è stato nominato “Songwriter of the Year” per il suo album Release the Stars.

La discografia del talento canadese comprende, oltre al già citato Release the Stars del 2007, ben altri otto album in studio e tre album dal vivo nonché una raccolta del 2014 di oltre diciotto brani Vibrate: The Best of Rufus Wainwright che il sottoscritto vi consiglia di acquistare così da avere un abstract della sua carriera capace di influenzare diversi artisti ai quali ha di fatto aperto la strada.

In perfetto orario, il songwriter canadese-americano – con indosso una giacca colorata e ai piedi degli eccentrici mocassini glitterati di rosso – fa il suo ingresso sul palcoscenico allestito in maniera essenziale solo da un pianoforte nero e due chitarre.
Rufus Wainwright @musacchio

Senza indugi, appena seduto sulla panca dinanzi al suo pianoforte intona le bellissime note di The Art Teacher. Brano contenuto nelquarto album del 2004 facente parte del suo progetto Want Two e Want One.

Nella scaletta della serata, oltre a classici del suo repertorio, l’artista ci presenta anche alcuni brani del suo nuovo album in uscita nella primavera del 2020. Un alternarsi di momenti al piano e momenti con la chitarra, il tutto in modo placido ed elegante.

E così, tra i successi quali Vibrate, Poses, Out of the Game, Going to a Town ed altri ancora, si sono innestati gli inediti proposti dal cantautore che hanno confermato la sua sofisticata vena musicale improntata ad pop “d’opera”.

Il compositore si conferma una persona delicata e lo si avverte non solo dalla sua splendida voce ma anche dagli intermezzi tra una canzone e l’altra nei quali, contornato da un’intima atmosfera, racconta e si racconta al pubblico che ha riempito la platea di Santa Cecilia.

Nell’abbondante ora e mezza di concerto non sono mancati episodi dedicati alle cover e soprattutto della sua versione, semplicemente da brividi, di Hallelujah del grande Leonard Cohen.

Il momento più alto del concerto il compositore lo raggiunge nell’encore con la versione a cappella di Candles (contenuta nel settimo lavoro del 2012 Out of the Game) che, come si dice, ha letteralmente fatto venire la pelle d’oca al pubblico dell’Auditorium il quale, alla fine dello spettacolo – concluso con la cover di Jean Renoir La complainte de la butte – gli ha dedicato una lunga e meritata standing ovation.

Grazie Rufus e arrivederci a presto.

Photo: Musacchio & Iannello