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Paolo Fratter il volto di Sky TG24

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Paolo Fratter si puo’ ascoltare e apprezzare tutti i giorni su Sky TG24, in orari diversi, sia la mattina che la sera. Il suo volto oramai è per noi familiare.

Abbiamo voluto scoprire in questa intervista qualcosa in più, perché Paolo non è solo un volto nel nostro salotto, ma un grande giornalista. Dopo uno scambio di mail, intervallato da eventi mondiali catastrofici, ha risposto alle nostre domande con passione, la stessa che mette in tutte le cose.

Buongiorno, lei sognava di lavorare a Sky, la sua carriera è stata immediata oppure si è dovuto “sudare” ogni obiettivo?

Ho iniziato nel 1995, in una televisione locale, Antenna tre Nordest, con piccoli servizi di cronaca.  Un periodo intenso (ancora non avevo finito l’Università) caratterizzato da molto lavoro e qualche soddisfazione. L’approdo a Sky è avvenuto diversi anni dopo. Una realtà importante cui sono arrivato col “sudore”, certo, ma non solo: ci vogliono anche un po’ di fortuna, un buon tempismo e qualcuno che decida di scommettere su di te. Nel mio caso, Emilio Carelli, il nostro primo direttore.

Qual è la sua formazione?

A scuola, prima la maturità classica, poi la laurea all’Università di Trieste in Scienze della Comunicazione con indirizzo giornalistico. Non è nelle aule scolastiche o universitarie che ho acquisito, però,  gli “strumenti del mestiere”.  La formazione più importante  è quella che si fa confrontandosi continuamente con la realtà, in strada, per le procure, nelle caserme, curando una piccola-grande rete di contatti, soprattutto quando si lavora in una realtà locale. Vale la pena ricordarlo in questa fase di trasformazione del nostro lavoro, in cui la rete ha creato un mercato che preferisce la velocità (pur importante) all’accuratezza delle notizie. A scuola ci formiamo, invece, come persone. Gli anni che vanno dalle medie all’università sono quelli che contribuiscono a determinare gli uomini e le donne che saremo. È la base di partenza, il magma originario, da cui comincia (con il contributo di famiglia, amici e insegnanti) tutto il resto, la successiva stratificazione. Una fase fondamentale.

Cosa voleva fare da piccolo?

Quello che faccio ora. Un’idea che cullavo da adolescente e che si è concretizzata con il passare degli anni: è un grande privilegio. “L’amare il proprio lavoro – scriveva primo levi alla fine degli anni 70 – è la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”. Credo sia, soprattutto oggi, in buona parte condivisibile.

Le sue passioni, i suoi hobby e i suoi impegni nell’ambito del sociale riesce a combinarli con un mestiere così impegnativo?

Assolutamente. Le persone eccessivamente dedite al lavoro al punto da mettere in secondo piano la propria vita sociale o, peggio, la propria famiglia, mi hanno sempre fatto una certa tristezza.

Il terzo news ha intervistato Elliot Ackerman ospite al Festival della Mente di Sarzana, un ex marine americano ha combattuto in Afghanistan e in Siria, lei è stato in quei luoghi cosa saprebbe dirci dal punto di vista umano e giornalistico?

Ho trascorso più di un mese in Afghanistan nel 2011, tra Herat , Kabul e Bamiyan. Nel libro di Ackerman (parlo del suo esordio da romanziere: “Prima che torni la pioggia”), ho ritrovato quelle atmosfere.

Parliamo di paesi, regioni in guerra, in cui c’è una sostanziale sospensione dei diritti umani  e dove le regole della quotidianità vengono stravolte, ma in cui tutti cercano disperatamente di trovare, nella follia della guerra, un punto di equilibrio.  Che mi sia trovato in un paese tormentato come l’Afghanistan, o in un campo profughi, come quello di Idomeni , o tra i terremotati del centro Italia, mi ha sempre colpito l’estrema dignità con cui persone che hanno perso tutto, riescono ad affrontare,  in contesti come quelli, le difficoltà, le privazioni, la paura

Lei è un giovane giornalista affermato ormai alcuni anni, quale consiglio vuole dare alle nuove leve?

Viviamo un momento di trasformazione per il nostro lavoro e di profonda crisi del sistema tradizionale dell’editoria, così come ha funzionato fino a oggi. È difficile capire che scenari si apriranno, in un mercato che si farà sempre più competitivo. Credo sarà sempre più importante investire sulle proprie conoscenze, su una preparazione specifica, settoriale, puntando su un ambito in particolare: un “esperto” di migrazioni, di questioni ambientali, di temi tecnologici o della crisi mediorientale sarà sempre una figura molto appetibile per il mercato e un punto di riferimento per il pubblico. Altro aspetto, le lingue: un inglese perfetto ti apre infinite possibilità e ti permette di allargare il pubblico di riferimento.

Ultima considerazione: mai farsi scoraggiare da chi ti dice “lascia perdere”

Che cosa sogna per il futuro?

Sogno un mondo in grado di affrontare la madre di tutte le questioni: quella ambientale. L’atteggiamento della nuova amministrazione degli stati uniti, il secondo paese più inquinante al mondo dopo la Cina, non è certo rassicurante

Come funziona una redazione, è lei che scrive i pezzi e poi va in onda?

La redazione di Sky tg24 è suddivisa fondamentalmente in tre gruppi di lavoro: il coordinamento che ha il compito di impaginare la scaletta del telegiornale, stabilendo la gerarchia delle notizie , i redattori che scrivono i servizi o lavorano come inviati per raccontare quello che accade in Italia e nel mondo e i conduttori che lavorano da studio, si occupano delle interviste agli ospiti in studio, dei lanci dei servizi e dei collegamenti. Ruoli diversi, spesso interscambiabili, in una squadra che per funzionare, per ridurre il margine di errore connaturato a un’esperienza come quella della diretta, ha bisogno di essere affiatata

C’è stato un momento che ricorda particolarmente imbarazzante, ha un aneddoto da raccontarci?

Ce ne sono diversi. Uno spunto, visto che ne abbiamo parlato, arriva dall’Afghanistan, da Bamiyan, nella valle tra le montagne dell’Hindu Kush, in cui si trovano  le nicchie che ospitavano le statue dei Buddha (prima che i talebani le distruggessero). Stavo realizzando un reportage con Fabrizio Stoppelli che , oltre a essere un amico, è anche uno dei migliori cameraman italiani.

Alloggiavamo nell’unica camera disponibile di una piccola pensione un po’ improvvisata, senza vigilanza , né controlli:  non esattamente un bunker, ecco.

Nel cuore della notte, nel silenzio più assoluto, lo sento urlare: esco dalla fase REM, mi sveglio di soprassalto e piombo in un secondo in una spirale d’angoscia. Che succede? Nel dubbio, caccio un urlo anch’io, mi alzo, urto un appendiabiti che cade rumorosamente a terra. Svegliamo così la famiglia che ci ospita, i loro vicini, il cane dei vicini e, via via, probabilmente anche i vicini dei vicini. Fuori dalla nostra camera – questo il risultato – si forma un piccolo gruppo di disorientati Hazara. Non è stato facile spiegare loro, mentre cercavo di stendere la gamba sollevata di Fabrizio, che si era trattato di un banalissimo crampo notturno al polpaccio.  Nel posto e nel momento più sbagliati”.

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