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L’Università: concezione e idee

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Biblioteca universitaria@pixabay
Perché i ragazzi vanno all’università? Cosa spinge ad intraprendere questo percorso difficile e dispendioso? La cultura, la curiosità, il lavoro? Si sono mai chiesti quando e perché è nata l’università?

L’altro giorno stavo facendo lezione di chitarra a due giovanissime  mie studentesse delle scuole medie. Durante una pausa, parlando del  più e del meno, una di esse mi chiede: ” Tu cosa studi all’università?” ed io “Filosofia” , e lei  “e  che lavoro farai con filosofia?”.

Non so perché, ma la parola lavoro, fuoriuscita dalle labbra di una bambina, mi sembrò strana.  Al che le chiesi : “ scusa , ma perché mi fai una domanda simile?” e lei : “ Ma non serve a quello l’università? A trovare lavoro, giusto? Mio fratello per esempio studia medicina“.

A questo punto mi resi conto che la storia soltanto, sorella della filosofia, poteva forse  aiutarmi a fare un po’ di luce nelle due giovani menti.

L ’università (dal latino universitas) significa comunità, aggregazione, associazione per la condivisione e divulgazione del sapere tra persone che si riunivano anticamente per discutere e leggere scritti di natura prevalentemente filosofica e giuridica.

L’ idea primigenia di questa istituzione nasce  nell’antico e florido periodo ellenico , dove varie scuole filosofiche (ricordiamo la Scuola Pitagorica, la Scuola Aristotelica e l’Accademia Platonica) misero  in atto questo tipo di insegnamento ad “aggregazione”.

Segnato dalla cultura prima greca e poi romana, il mondo antico piombò nel medioevo ma la scintilla non si spense del tutto, gli antichi testi furono trascritti e conservati grazie all’opera dei frati amanuensi, che tramandarono il patrimonio culturale del passato.

Decenni dopo decenni, le universitates divennero sempre più articolate e organizzate; le prime sorte furono proprio da noi, in Italia, a  Bologna, Padova, Napoli, Arezzo, per citarne alcune.

Da lì in poi fu un continuo crescendo; le varie scienze si separarono dalla loro madre comune per specializzarsi e distinguersi l’una dall’altra. Assistemmo alla nascita della medicina, della psicologia, della psichiatria, della biologia, della fisica, della chimica, della matematica, dell’antropologia. Queste e tante  altre discipline furono sorrette da questa antica istituzione: l’ Università. Qui vi trovarono sostegno e fondamento, una fonte di cultura, sapere e prestigio per chiunque la frequentasse.

Questo fino ad oggi.

Nel nuovo millennio l’università ( per quanto riguarda l’Italia , sua terra natia) è pubblica: tutti quanti vi possono accedere, con un “ piccolo contributo” annuale; anche i ragazzi in difficoltà economiche sono agevolati e sostenuti grazie ad esenzioni e convenzioni. Ma, ahimè,  questo purtroppo non basta a renderla fruibile a tutti.

A prescindere dal lato economico, è ormai diffusa  l’idea che l’Università non sia altro che un mezzo utile esclusivamente per conseguire il classico pezzo di carta, quello che poi  ti aprirà le porte di un lavoro ottimamente remunerato.

Questa concezione, ovviamente, non è del tutto errata. Per poter praticare alcune discipline è obbligatoriamente richiesto un titolo universitario, il che è più che giusto!

Quello che in realtà sfugge è l’idea originale sulla quale sono nate le universitates: l’amore per la cultura, la voglia e la necessità di condividere e apprendere un sapere interagendo con gli altri.

Lo  studio universitario non dovrebbe essere  apatico. Non si dovrebbe fare svogliatamente su pile e  pile di libri, no, dovrebbe essere segnato dall’ ingordigia di apprendere ogni singola parola in più di un testo, di chiacchierare ore con i professori che dovrebbero essere gli elargitori di un sapere al quale aspirare, l’emozione di assistere ad una lezione della quale parlerai giorni con i tuoi colleghi per avere opinioni e visioni diverse al riguardo. La gioia e la voglia di andare a seguire le lezioni, con la curiosità di un bambino, su quale sia il tema della lezione del giorno. Nonostante le difficoltà amministrative che si possono incontrare e la pesante mole di studio, deve rimanere costante la dedizione allo studio.

Questo in futuro permetterà di trovare un impiego affine al percorso intrapreso, poiché solo le persone capaci nel proprio lavoro sono in grado di portarlo avanti (raccomandazioni escluse), e le capacità sono frutto della teoria saggiamente acquisita e applicata alla pratica.

Per cui, miei cari lettori, se non siete realmente interessati, se non avete abbastanza entusiasmo, non studiate, perché l’università affrontata passivamente e controvoglia non vi porterà affatto ad un lavoro sicuro e,  nel caso in cui invece vi ci  portasse , lo affronterete tutta la vita senza vera gioia e soddisfazione, diffondendo questa profonda frustrazione nell’ambiente di lavoro e nelle persone intorno a voi!

“Essere insegnante. Qual è il vero valore?”.